giovedì 26 marzo 2020

Recensione: "La campana di vetro, Sylvia Plath"

Recensione: "La campana di vetro, Sylvia Plath"

Edizione: Mondadori, 2017
Note sull'autrice: Poetessa statunitense. Dopo gli studi universitari allo Smith College, ottenne una borsa di studio in Inghilterra dove conobbe il poeta Ted Hughes, che sposò nel 1956. Le durezze della vita domestica e lo scarto tra la prigionia della condizione femminile e l'ardore della ispirazione poetica le si rivelarono presto insopportabili. Morì suicida a soli 31 anni. Al momento della morte aveva già pubblicato la raccolta "Il colosso" (1960) e il romanzo autobiografico "La campana di vetro" (1963). Ma il meglio della sua produzione, raccolto dopo la morte a cura del marito nel volume "Ariel" (1965), in "Alberi invernali" (1971) e "Attraversando l'acqua" (1971), appartiene al periodo estremo e più solitario della sua vita.Assurse a simbolo di tutte le rivendicazioni femministe.

Trama: Brillante studentessa di provincia vincitrice del soggiorno offerto da una rivista di moda, a New York Esther si sente «come un cavallo da corsa in un mondo senza piste». Intorno a lei, l'America spietata, borghese e maccartista degli anni Cinquanta: una vera e propria campana di vetro che nel proteggerla le toglie a poco a poco l'aria. L'alternativa sarà abbandonarsi al fascino soave della morte o lasciarsi invadere la mente dalle onde azzurre dell'elettroshock. Fortemente autobiografico, La campana di vetro narra con agghiacciante semplicità le insipienze, le crudeltà incoscienti, gli assurdi tabù che spezzano un'adolescenza presa nell'ingranaggio stritolante della normalità che ignora la poesia. Include sei poesie da "Ariel".

Recensione: dopo pochi capitoli de "La campana di vetro", ho realizzato di trovarmi dinanzi ad un libro che sarebbe potuto entrare tranquillamente a far parte dei miei preferiti di sempre. Purtroppo non è successo, ma la colpa non è né del libro né tantomeno della sua fenomenale autrice, ma solo mia.
Sylvia è entrata nel mio cuore come pochi autori hanno fatto, col suo stile pulito e diretto, che è una caratteristica comune a molti autori americani, è riuscita a raccontarmi una storia, la sua, condendola di tutti i suoi pensieri e le sue sensazioni circa la vita e la società che la circondava, dalla quale lei si sentiva così tanto distante. Mi sono sentita così vicina alla protagonista circa molte delle sue riflessioni e opinioni che posso affermare che per me leggere i pensieri di Sylvia è come guardarsi allo specchio.

I fatti che avvengono nel romanzo non sono altro che il veicolo che Sylvia, in particolare all'interno della storia Esther, usa per riflettere su se stessa: nonostante i numerosi riconoscimenti avuti durante tutta la sua vita grazie agli studi e alle sue capacità, il personaggio è costantemente malinconico e non fa che svalutare se stessa dando importanza alle cose che non sa fare, piuttosto che a quelle che l'hanno portata ad avere risultati soddisfacenti ed importanti.
Ci sono momenti in cui fa un lungo elenco delle cose che non sa fare esprimendo un forte sentimento di inadeguatezza che permea durante tutto il romanzo.

Mi sentivo come un cavallo da corsa in un mondo senza ippodromi, o come un campione di calcio dell'università che si trova tutt'a un tratto di fronte a Wall Street e al doppiopetto grigio, i suoi giorni di gloria ridotti alle dimensioni di una piccola coppa d'oro sulla mensola, con su incisa una data, come una lapide di cimitero.