venerdì 24 luglio 2020

Instagram e la svalutazione del libro

Instagram e la svalutazione del libro

Ammetto che la mia visione sull'orizzonte ampissimo del mondo dei libri si è ristretto, e non di poco. Lo

ammetto con molta franchezza ma anche con molta delusione, amarezza per essere più precisi.
Ho pensato e ripensato alle parole giuste per scrivere un post che vorrei si rivolgesse a tutti i lettori usando parole adeguate al tema: l'oggetto libro e l'ascendente che esercita sui lettori.
In particolare volevo soffermarmi sull'oggetto libro in sè per sè: di solito questo non è soltanto un insieme di carta e cartone con delle parole stampate sopra, ma rappresenta, quasi sempre, qualcosa che va al di là del materialismo, qualcosa che ha anche un impatto sulla sfera emotiva, positivo o negativo che sia.
Considerati nel panorama dei social, i libri negli ultimi anni costituiscono una riscoperta importante, Instagram in particolare mette in contatto tantissimi lettori, tutti diversi, che promuovono libri che, ahimè, non sono altrettanto vari. Infatti vorrei soffermarvi sulla domanda: come scegliamo le nostre letture? In che modo scegliamo che libri comprare?

Il fenomeno che mi è capitato di osservare è l'omogeneità dei post presenti presenti sui social: inutile dire che è un risultato di tanti eventi che concatenati tutti insieme creano un ciclo di cui il mercato dei libri è diventato dipendente. L'omogeneità sta nel vedere tantissimi contenuti che alla fine finiscono per assomigliarsi tutti perché buona parte parla degli stessi libri.
Più che mai mi sono resa conto io stessa di far parte di questo meccanismo quando, spulciando nella mia wishlist per trovare dei titoli Einaudi/Adelphi/Bompiani da acquistare con gli sconti, ho trovato miriadi di libri che conoscevo non perché li avessi scoperti io, ma perché li avevo segnati dopo aver letto dieci post relativi a quel libro, dopo aver visto dieci storie relative a quel libro.
Non che ci sia qualcosa di sbagliato in tutto questo: il "mercato" dei libri non è sicuramente tra i più gettonati e proficui, delle interessanti delucidazioni le offre Bookblister che si preoccupa di spiegare il mondo editoriale anche ai "profani", quindi la spinta che Instagram offre a mio parere è molto importante.

giovedì 26 marzo 2020

Recensione: "La campana di vetro, Sylvia Plath"

Recensione: "La campana di vetro, Sylvia Plath"

Edizione: Mondadori, 2017
Note sull'autrice: Poetessa statunitense. Dopo gli studi universitari allo Smith College, ottenne una borsa di studio in Inghilterra dove conobbe il poeta Ted Hughes, che sposò nel 1956. Le durezze della vita domestica e lo scarto tra la prigionia della condizione femminile e l'ardore della ispirazione poetica le si rivelarono presto insopportabili. Morì suicida a soli 31 anni. Al momento della morte aveva già pubblicato la raccolta "Il colosso" (1960) e il romanzo autobiografico "La campana di vetro" (1963). Ma il meglio della sua produzione, raccolto dopo la morte a cura del marito nel volume "Ariel" (1965), in "Alberi invernali" (1971) e "Attraversando l'acqua" (1971), appartiene al periodo estremo e più solitario della sua vita.Assurse a simbolo di tutte le rivendicazioni femministe.

Trama: Brillante studentessa di provincia vincitrice del soggiorno offerto da una rivista di moda, a New York Esther si sente «come un cavallo da corsa in un mondo senza piste». Intorno a lei, l'America spietata, borghese e maccartista degli anni Cinquanta: una vera e propria campana di vetro che nel proteggerla le toglie a poco a poco l'aria. L'alternativa sarà abbandonarsi al fascino soave della morte o lasciarsi invadere la mente dalle onde azzurre dell'elettroshock. Fortemente autobiografico, La campana di vetro narra con agghiacciante semplicità le insipienze, le crudeltà incoscienti, gli assurdi tabù che spezzano un'adolescenza presa nell'ingranaggio stritolante della normalità che ignora la poesia. Include sei poesie da "Ariel".

Recensione: dopo pochi capitoli de "La campana di vetro", ho realizzato di trovarmi dinanzi ad un libro che sarebbe potuto entrare tranquillamente a far parte dei miei preferiti di sempre. Purtroppo non è successo, ma la colpa non è né del libro né tantomeno della sua fenomenale autrice, ma solo mia.
Sylvia è entrata nel mio cuore come pochi autori hanno fatto, col suo stile pulito e diretto, che è una caratteristica comune a molti autori americani, è riuscita a raccontarmi una storia, la sua, condendola di tutti i suoi pensieri e le sue sensazioni circa la vita e la società che la circondava, dalla quale lei si sentiva così tanto distante. Mi sono sentita così vicina alla protagonista circa molte delle sue riflessioni e opinioni che posso affermare che per me leggere i pensieri di Sylvia è come guardarsi allo specchio.

I fatti che avvengono nel romanzo non sono altro che il veicolo che Sylvia, in particolare all'interno della storia Esther, usa per riflettere su se stessa: nonostante i numerosi riconoscimenti avuti durante tutta la sua vita grazie agli studi e alle sue capacità, il personaggio è costantemente malinconico e non fa che svalutare se stessa dando importanza alle cose che non sa fare, piuttosto che a quelle che l'hanno portata ad avere risultati soddisfacenti ed importanti.
Ci sono momenti in cui fa un lungo elenco delle cose che non sa fare esprimendo un forte sentimento di inadeguatezza che permea durante tutto il romanzo.

Mi sentivo come un cavallo da corsa in un mondo senza ippodromi, o come un campione di calcio dell'università che si trova tutt'a un tratto di fronte a Wall Street e al doppiopetto grigio, i suoi giorni di gloria ridotti alle dimensioni di una piccola coppa d'oro sulla mensola, con su incisa una data, come una lapide di cimitero.